RACCONTALA GIUSTA (testi)

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RACCONTALA GIUSTA

"RACCONTALA GIUSTA" è una canzoncina inventata a scuola per giocare con i ragazzi e per prenderci bonariamente in giro. È un gioco di rime sui nomi e sui cognomi. Nasce a rovescio: si prende il nome di qualcuno e si cerca una rima divertente. Quindi si prende il cognome e si cerca una seconda rima che possa avere una qualche attinenza con la prima. E il gioco è fatto. Però siccome RACCONTALA GIUSTA è una canzoncina di bugie e di esagerazioni, bisogna evitare le rime e le immagini più scontate (Emanuele che mangia un barattolo di miele) cercare invece di spararle grosse (Emanuele che si tuffa in un barattolo di miele).

 

RACCONTALA GIUSTA

Dai, dai, raccontala giusta.

Dai, dai, raccontala giusta.

Hanno visto Rossi Valentina

a cavallo di una gallina.

Hanno visto Valentina Rossi

In groppa alla gallina

filare in mezzo ai fossi…

Dai, dai, raccontala giusta.

Dai, dai, raccontala giusta.

Hanno visto Bianchi Federico

Travestito da lombrico.

Hanno visto Federico Bianchi

Vestito da lombrico

Strisciare in mezzo ai banchi…

Dai, dai, raccontala giusta.

Dai, dai, raccontala giusta.

Hanno visto Marco Sabbatani

Che giocava a carte con i sette nani

Hanno visto Sabbatani Marco

Che alle tre di notte

non era ancora stanco…

Dai, dai, raccontala giusta.

Dai, dai, raccontala giusta.

Hanno visto Luca Balboni

Che nuotava in un piatto di maccheroni

Hanno visto Balboni Luca

Navigare su una foglia di lattuga…

Dai, dai, raccontala giusta.

Dai, dai, raccontala giusta.

Hanno visto Davoli Rebecca

Sdraiata in un piatto come una bistecca.

Hanno visto Rebecca Davoli,

era una bistecca con contorno di cavoli.

Dai, dai, raccontala giusta.

Dai, dai, raccontala giusta.

Hanno visto Coco Francesca

Infilata come un bruco in una pesca.

Hanno visto Francesca Coco

Mordere la pesca e mangiarla a poco a poco…

Dai, dai, raccontala giusta.

Dai, dai, raccontala giusta.

 

 

 

KRILL

Questa è un'altra delle canzoncine che nascono dal mio amore per il mare e per le immersioni.

Ho visto infatti, alcuni anni fa, nell’oceano Indiano, una manta volare con le sue grandi ali in mezzo ad una nuvola di gamberetti, di krill appunto, e mangiarne quantità straordinarie. E quella era solo una manta che con la coda e il resto sarà stata sui quattro metri. Che cosa succede ai poveri gamberetti, quando invece di una manta, in caccia c’è un branco di balene lunghe una ventina di metri con bocche e appetiti smisurati?

Mi è rimasta così in testa la strana e feroce condizione del krill, sfortunato gamberetto alla base di tutta la catena alimentare dei pesci. Questa canzoncina è un piccolo omaggio alla sua voglia di vivere e riprodursi, nonostante tutto.

I bambini di una mia terza classe di qualche tempo fa la cantarono al saggio di fine anno, davanti ai loro genitori. Fu una scena piuttosto divertente da vedere, soprattutto per via delle facce che facevano i genitori di cui sopra…

 

 

KRILL

Piccoli, teneri e saporiti

alla frittura siam destinati,

oppur finiamo fra mille pene

dentro alla pancia delle balene.

Dura la vita qui in fondo al mare,

se nella catena alimentare

non sei che un briciolo, men che un granello,

l'ultimo piccolo e gustoso anello.

Krill, krill, siamo orgogliosi

Krill, krill, appetitosi,

Krill, krill, viaggiamo in banchi,

e non siam stanchi mai mai, krill, krill.

Krill, krill, mangiamo plancton,

Krill, krill, ci piace tancton,

Krill, krill, e ci raddoppiamo

in due settimane o tre, krill, krill!

Dura la vita qui in fondo al mare,

se nella catena alimentare

non sei che un briciolo, men che un granello,

l'ultimo piccolo e gustoso anello.

Krill, krill, ci piace il freddo,

Krill, krill, e l'aria del Polo

Krill, krill, non ci congela ,

e ci mette tanta allegria, krill, krill!

Krill, krill, nella corrente

Krill, krill, ci si diverte

Krill, krill, ma odiam le mante

e le meduse blu, krill, krill!

 

Piccoli, teneri e saporiti

alla frittura siam destinati,

oppur finiamo fra mille pene

dentro alla pancia delle balene.

 

 

NELLO STAGNO

Le parole di questa canzoncina sono state scritte a quattro mani da me e da Giancorrado, un piccolo amico di cinque anni, particolarmente portato per le rime e i giochi di parole. È un "nonsense" inventato per puro divertimento, in macchina, in un viaggio da Forlì al mare.

La canzoncina ha poi passato il severo vaglio della mia classe: alcuni bambini ridevano e altri invece scuotevano la testa preoccupati. Nessuno però si è annoiato e quindi "Nello stagno" è stata promossa a "canzone degna e cantabile in diverse occasioni".

In sala d’incisione è stata definitivamente arricchita e migliorata dalla musica di Marco Versari e dai contributi di numerosi animali.

 

 

NELLO STAGNO

Nello stagno faccio il bagno,

con la spugna lavo il ragno.

Con un legno schiaccio un bugno

Ti do un pugno sopra al grugno.

E non mi lagno no, non mi lagno no.

Faccio un sogno con impegno,

ti disegno un re col regno,

sopra un albero di prugne

mangio dodici castagne.

E non mi lagno no, non mi lagno no.

Mi ripugnan le lavagne,

cigni, gnomi e il pan di Spagna.

Provo un senso di vergogna

quando ignoro la cicogna

E non mi lagno no, non mi lagno no.

Quando penso a Carlo Magno,

getto pigne nello stagno,

perdo legni cigni e ragni

sogni e gnomi di montagna.

E non mi lagno no, non mi lagno no.

 

 

 

COSA MANGI

Questa canzone è un gioco di parole alla Gianni Rodari, che nasce incrociando cibi e città. Un cosa a metà fra un binomio fantastico e filastrocca tradizionale, condito però con il gusto, un po’ alla Roald Dahl, di inventare piatti particolarmente schifosetti (cosce di zanzara, budino di tacchino, vermi fritti a cena, ecc…).

Sono pietanze assurde e quindi divertenti o abominevoli, a seconda dei diversi punti di vista, ma mai indifferenti.

A proposito di piatti, quelli che preferisco quando non scrivo, sono invece le tagliatelle al ragù, le lasagne e le pastasciutte in genere. I vermi fritti li faccio mangiare solo ai personaggi delle mie canzoni…

 

COSA MANGI

 

Cosa mangi, dimmi cosa mangi, cosa mangi e io ti dirò…

Cosa mangi, dimmi cosa mangi, e ti dico se resto a cena o no.

C’era una volta un tale, un tale di Pescara

Che si cibava solo di cosce di zanzara.

Poi è andato a vivere vicino a Pordenone

E ora mangia solo cosce di moscone.

Cosa mangi, dimmi cosa mangi, cosa mangi e io ti dirò…

Cosa mangi, dimmi cosa mangi, e ti dico se resto a cena o no.

C’era una volta un tale, un tale di Parigi

Mangiava solamente rane con gli occhietti grigi.

Ora si è trasferito nel continente indiano

Non mangia più le rane ma brodetto di caimano.

Cosa mangi, dimmi cosa mangi, cosa mangi e io ti dirò…

Cosa mangi, dimmi cosa mangi, e ti dico se resto a cena o no.

Ho conosciuto un tipo, un tipo di Comacchio,

che diventava verde mangiando del pistacchio.

Ora vive a Napoli e si nutre di melone

Ora non è più verde, ora è arancione.

Cosa mangi, dimmi cosa mangi, cosa mangi e io ti dirò…

Cosa mangi, dimmi cosa mangi, e ti dico se resto a cena o no.

C’era una volta un tale, un tale di Torino,

faceva colazione con budino di tacchino.

Poi ha preso casa in provincia di Latina

E ora fa colazione con budino di gallina.

Cosa mangi, dimmi cosa mangi, cosa mangi e io ti dirò…

Cosa mangi, dimmi cosa mangi, e ti dico se resto a cena o no.

Avevo un amico un amico di Bolsena

Che cucinava sempre vermi fritti a cena.

Ora è andato a vivere nei pressi di Livorno

E mangia vermi fritti anche a mezzogiorno.

Cosa mangi, dimmi cosa mangi, cosa mangi e io ti dirò…

Cosa mangi, dimmi cosa mangi, e ti dico se resto a cena o no.

 

 

 

NOI COZZE

Ho scritto questa canzone per quattro motivi: il primo è che mi piaceva molto l’idea di far parlare le cozze, animaletti filtranti che di solito non sono molto loquaci.

Il secondo motivo è che mi piaceva moltissimo l’idea di un coro di cozze che cantavano a gola spiegata.

Il terzo motivo è costituito dalla possibilità dei giochi di parole che le cozze offrono come personaggi (ad es. noi cozze sogniamo il posto fisso…).

Il quarto ed ultimo motivo è che le cozze col limone sono una vera delizia.

 

 

NOI COZZE

Noi cozze sogniamo il posto fisso,

noi cozze ci piace far così.

Noi cozze, ci piace stare al sole,

noi cozze ci piace far così.

Noi cozze, filtriamo acqua di mare,

noi cozze ci piace far così.

Noi cozze, facciamo un bel lavoro,

e poi cantiamo in coro

Tara – riri – ra, tara – riri – ra

Riri-ra, riri-ra, ra – ra.

Tara – riri – ra, tara – riri – ra

Riri-ra, riri-ra, ra – ra.

 

Noi cozze siam piccole e tenaci,

noi cozze ci piace esser così.

Noi cozze, abbiam muscoli forti,

noi cozze ci piace esser così.

Noi cozze, abbiamo un cuore buono,

noi cozze ci piace far così.

Noi cozze, sogniamo un mondo nuovo,

e poi cantiamo in coro

Tara – riri – ra, tara – riri – ra

Riri-ra, riri-ra, ra – ra.

Tara – riri – ra, tara – riri – ra

Riri-ra, riri-ra, ra – ra.

 

 

 

ARRIVA CARNEVALE

Questo, prima di essere una canzone, era un esercizio per bambini di prima e di seconda: io ti do il nome di un animale e tu mi trovi una rima. È un gioco che a scuola si fa spesso e che insegna ai bambini due cose: a fare attenzione ai suoni delle parole e a giocare con le immagini. Sono due meccanismi utili e divertenti: possono produrre autentiche sciocchezze oppure "chicche" preziose e deliziose all’orecchio. Sono comunque un allenamento formidabile per chi voglia essere padrone e non schiavo delle parole.

In ogni caso giocare con le parole e con le immagini è quanto fanno tutti coloro che scrivono poesie, filastrocche, canzoni e anche storie…

 

ARRIVA CARNEVALE

Arriva Carnevale, mi mangio il panettone,

poi apro l’ombrellone e metto una maschera. Yeee!

Metto una maschera da gatto

E tutti dicono, che sembro matto.

Metto una maschera da ragno

E tutti dicono: "Ma fatti un bagno!"

Metto una maschera, metto una maschera, metto una maschera. Yeee!

Metto una maschera, metto una maschera, metto una maschera.

Metto una maschera da tonno

E tutti dicono, sembro mio nonno.

Metto una maschera da gufo

E tutti dicono che sembro un UFO.

Metto una maschera, metto una maschera, metto una maschera. Yeee!

Metto una maschera, metto una maschera, metto una maschera.

Arriva Carnevale, mi mangio il panettone,

poi apro l’ombrellone e metto una maschera. Yeee!

Metto una maschera da topo

E tutti dicono: "Ti chiamo dopo"..

Metto una maschera da grillo

E tutti dicono: "Ma stai tranquillo!"

Metto una maschera, metto una maschera, metto una maschera. Yeee!

Metto una maschera, metto una maschera, metto una maschera.

Metto una maschera da mucca

E tutti dicono: "Non hai la zucca!".

Metto una maschera da iena

E tutti dicono che faccio pena.

Metto una maschera, metto una maschera, metto una maschera. Yeee!

Metto una maschera, metto una maschera, metto una maschera.

Arriva Carnevale, mi mangio il panettone,

poi apro l’ombrellone e metto una maschera. Yeee!

 

 

STA’ ATTENTO AL PESCECANE

Gioco di suoni più che di parole: il mio pescecane ruggisce e abbaia. Questo piccolo boogie-woogie, impreziosito da uno strepitoso assolo di Marco Versari alla chitarra virtuale, è un omaggio al vero signore dei mari, lo squalo.

Vuole però essere anche l’occasione per aprire un dibattito: ma perché il pescecane si chiama così? Gli squali non abbaiano, non scodinzolano, non ringhiano… E allora perché li chiamiamo pescicani? Boh?

A proposito, se vi immergete in mare, potete anche stare attenti ai pescicani, ma non è una cosa che serva troppo. Gli squali io li ho incontrati molte volte durante le mie immersioni: sono dieci volte più veloci di noi e cento volte più acquatici. Se vi vogliono veramente mangiare non c’è quasi niente da fare. Per fortuna gli squali (o pescecani che dir si voglia) sono dei buongustai e non mangiano la prima robaccia che gli si presenta davanti al naso: loro mangiano pesce e solo molto fresco. Ho visto con i miei occhi un grosso squalo toro, nel mare di Cuba, rifiutare i pesci congelati che gli offriva Diego, la guida che ci accompagnava nell’immersione.

 

STA’ ATTENTO AL PESCECANE

Se te ne vai al parco puoi passeggiare.

Se te ne vai al cinema puoi sognare.

Ma quando vai per mare, ma quando vai per mare,

sta’ attento al pescecane!

Se te ne vai a tavola puoi mangiare.

Se te ne vai a letto puoi riposare.

Ma quando vai per mare, ma quando vai per mare,

sta’ attento al pescecane!

Se te ne vai al fiume…

Se te ne vai a spasso…

Ma quando vai per mare, ma quando vai per mare,

ma quando vai per mare, sta’ attento al pescecane!

Se te ne vai allo stadio…

Se te ne vai a Milano…

Ma quando vai per mare, ma quando vai per mare,

ma quando vai per mare, sta’ attento al pescecane!

 

 

OCCHI DI RANOCCHI

Questa canzoncina è un gioco di rime ed ingredienti. Nel senso che mi sono divertito ad immaginare un orco mangione e quello che avrebbe potuto ingurgitare per colazione. Ne è venuto fuori un menù improbabile e raccapricciante, però divertente. Soprattutto se si tiene conto del fatto che Tommaso e Margherita (due degli elementi del menù dell’orco) sono nomi molto comuni e spesso se ne trovano anche fra i bambini che ascoltano le mie canzoni. O fra gli insegnanti…

 

 

OCCHI DI RANOCCHI

All’orco Ciccione piace lavorar,

però si affatica, così deve mangiare:

adesso pianta un chiodo in un tavolino,

ma subito si stanca, così fa uno spuntino…

Occhi di ranocchi, caramellati, tagliati a spicchi,

zampe di elefante, condite con salsa piccante

naso di Tommaso, tenuto sott’olio in un vaso

spalla di farfalla in salsa di zafferano gialla…

Brodo bello sodo, con tre varani di Komodo,

stinco di ornitorinco, cotto con vino bianco,

dita di Margherita, sporche di cioccolata,

groviera di pantera bollita nella caffettiera…

All’orco Ciccione piace lavorar,

però si affatica, così deve mangiare:

sistema una tegola, in cima al tetto

e subito è affamato: ci vuole un bel pranzetto…

Occhi di ranocchi, caramellati, tagliati a spicchi,

zampe di elefante, condite con salsa piccante

naso di Tommaso, tenuto sott’olio in un vaso

spalla di farfalla in salsa di zafferano gialla…

Brodo bello sodo, con tre varani di Komodo,

stinco di ornitorinco, cotto con vino bianco,

dita di Margherita, sporche di cioccolata,

groviera di pantera bollita nella caffettiera…

All’orco Ciccione piace lavorar,

però si affatica, così deve mangiare:

raccoglie nell’orto un peperone

ma subito si stanca, e corre a colazione…

Occhi di ranocchi, caramellati, tagliati a spicchi,

zampe di elefante, condite con salsa piccante

naso di Tommaso, tenuto sott’olio in un vaso

spalla di farfalla in salsa di zafferano gialla…

Brodo bello sodo, con tre varani di Komodo,

stinco di ornitorinco, cotto con vino bianco,

dita di Margherita, sporche di cioccolata,

groviera di pantera bollita nella caffettiera…

 

 

SEI ORE

A parlare è un granchio, animaletto a torto ritenuto pericoloso. In realtà i poveri granchi sono vittime e cibo di numerosi pesci, soprattutto quando cambiano il carapace, la corazza. Infatti, non avendo uno scheletro interno che cresce con loro, i granchi sono costretti a spaccare la corazza vecchia e a farsene ricrescere addosso una nuova. L’intero processo occupa lo spazio di sei pericolosissime ore, durante le quali i poveri crostacei sono molto più indifesi del solito.

"SEI ORE" vuole essere un omaggio alla complicata esistenza di questi timidi e simpatici spazzini del fondo marino.

 

 

SEI ORE

Sei ore, sei ore, sei ore di terrore,

Sei ore senza tregua e senza pace:

sei ore senza carapace.

Sei ore sotto un sasso

squassato dal batticuore,

col rischio di essere mangiato:

sei ore senza fiato.

Sei ore tutto nudo,

come un gambero sgusciato,

sei ore in pericolo di vita:

sei ore senza fiato.

Sei ore, sei ore, sei ore di terrore,

Sei ore senza tregua e senza pace:

sei ore senza carapace.

Sei ore a goccia a goccia

Sperando di non essere notato.

Sei ore sotto una roccia:

sei ore è un tempo esagerato.

Sei ore senza corazza

Così comanda la natura

Sei ore che per noi granchi

Sono una vera fregatura.

Sei ore, sei ore, sei ore di terrore,

Sei ore senza tregua e senza pace:

sei ore senza carapace.

 

 

CANZONE DEL MAESTRO   (o della maestra, a seconda dei casi…)

Canzoncina didattico-ironica. La inventai un po’ di anni fa, per spiegare ai bambini di un terza classe che cosa fossero le metafore. E i miei alunni capirono perfettamente che le quattro situazioni che la canzoncina proponeva non erano altro che travestimenti, metafore appunto, che parlavano tutte della stessa cosa: della scuola, di un insegnante e dei suoi bambini.

Le metafore però non erano scelte a caso: i gerani che necessitano di concime, i pesci, i salami in cantina e i criceti nell’ascensore servivano anche a prenderci un po’ in giro, a fare quattro risate.

E io e i mie ragazzi ridevamo parecchio, soprattutto quando cantavamo questa canzoncina davanti ad altre classi che non erano al corrente della faccenda delle metafore: le espressioni meravigliate degli altri che ascoltavano senza capire di che cosa stessimo parlando erano buffissime.

 

 

CANZONE DEL MAESTRO

Coltivo i miei gerani sul balcone

Li nutro gli do il mangime che gli fa bene.

Gli insegno tutte le cose che

conviene dire, conviene fare, conviene ricordare.

Allevo i miei pesci rossi in una vasca

E aspetto che ognun di loro cresca

Li nutro con briciole

di musica, grammatica, ginnastica.

Ho appeso i miei salami giù in cantina

E aspetto che si faccian buoni

Ogni tanto scendo e gli do una giratina

Li annuso un po’ e poi li lascio lì.

Allevo i miei criceti nell’ascensore

Li nutro gli do il mangime che gli fa bene

Li porto sempre più in alto:

al primo piano, al terzo piano, al quinto li lascio lì

al primo piano, al terzo piano, al quinto li lascio lì.

 

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